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[ un puntiglio ]
Bordoni - Tuttavia la prima versione del 1935, com’è dimostrato dalla recente traduzione italiana, non riporta, come abbiamo visto, alcun riferimento a van Gogh. Il riferimento al pittore olandese appare soltanto nell’edizione definitiva, quella pubblicata nel 1950... [1]
dur. 18' 08"

D’improvviso vengo a sapere che qualcuno si è fatta la convinzione che van Gogh e il suo quadro con le scarpe apparirebbero per la prima volta soltanto nell’edizione definitiva del 1950 della riflessione di Heidegger sull’origine dell’opera d’arte.
La cosa mi sgomenta e mi coglie impreparato.
Nel mio “disegno”, queste scarpe avrebbero dovuto esserci lì dentro prima del 1950, se non addirittura prima ancora del 1936 - diversamente come avrebbero potuto queste scarpe calpestare, ad esempio, il pavimento del Circolo Industriale di Düsseldorf nel 1932, e accompagnare poi il filosofo sui luoghi degli incontri fatali della metafisica con le vicende tedesche dell’intero secondo anteguerra?
Fosse veramente così, sarei costretto a tornare sui miei passi per ricredermi su molte cose pensate e dette fin qui.
Mi sarei forse abbandonato al risentimento?
Sinceramente la faccenda mi disturba molto, ma non mi convince affatto.
La mancanza di metodo, che espone ogni onesto pasticcione al dubbio e al tentennamento, mi consiglia di riassumere i fatti per cercare di acciuffare, con un colpo d’occhio, la conferma di non essermi sbagliato su certe cose. 
1930. Visitando l’esposizione di opere di van Gogh ad Amsterdam Heidegger vede il quadro in cui sono rappresentate un paio di scarpe;
1931-32. Nella prima stesura sull’Origine dell’opera d’arte manca ogni riferimento a van Gogh; tuttavia vi appare la parola “scarpa”;
1935, novembre. Nelle conferenze di Friburgo e Zurigo, con ogni probabilità Heidegger si limita a riproporre la prima stesura. Epperò, nella sua Introduzione alla metafisica, dell'estate di questo stesso anno, il filosofo ci mostra un quadro: "Ecco qua un quadro di van Gogh: nient’altro che un paio di grossi scarponi da contadino", per illustrarcelo subito con le medesime immagini che si trovano nel testo definitivo dell'Origine.
1936, novembre. Con le tre conferenze di Francoforte il processo di elaborazione sull’origine dell’opera d’arte è unanimemente riconosciuto come concluso a tutti gli effetti; e qui il riferimento a van Gogh ricorre più volte[2];
1950... Per qualcuno solo in questo anno il pittore olandese e il suo "quadro famoso" apparirebbero per la prima volta nell’edizione dell’Origine dell’opera d’arte… [3]

In questo sommario quadro, non si vede forse messo in piena evidenza il passo eccessivamente lungo che Heidegger avrebbe dovuto fare nel 1950 per recuperare alla sua riflessione quella remota sensazione originata dalla visione del quadro di van Gogh nel 1930 ad Amsterdam?
E’ credibile che il filosofo abbia tenuto a bada per venti anni quel vivido fantasma contadino evocato dalla subitanea visione del quadro di van Gogh?
Rileggo ancora una volta le annotazioni bibliografiche redatte da Heidegger stesso [4] e dovrei convincermi che non dovrebbe servire altro per capire che le scarpe di van Gogh sono presenti nell’edizione definitiva del 1950 per il semplice fatto che già erano presenti nella versione delle tre conferenze di Francoforte del 1936. Eppure continuo a sentirmi preoccupatoe insoddisfatto.
E non si tratta di andarsene in giro per riscuoter crediti; e tanto meno per decidere di chi sono queste scarpe che, per quanto le riguarda, rimangono del tutto indifferenti all’uso che ne fanno gli uomini, i quali, da parte loro, ricambiano volentieri tale indifferenza - almeno fin quando non fanno male ai piedi, o fintanto che non debbano vedersela personalmente con le gendarmerie nazionali qualora qualcuno se le togliesse dai piedi a scapito della testa di un capo di Stato.
Potrei dunque piantarla qui e chiudere la faccenda, se non fosse che fare il pedante è anche un modo di tenere i piedi nell’argomento, ossia nelle scarpe. Ma, se proprio volete seguire passo passo quel mio demone del prolisso che già conoscete, dovrete spostarvi in fondo alla pagina; perché al momento  sono deciso a risparmiarvi, e a risparmiarmi, le pignolerie che questo noioso è stato capace di elencare per tentare di vederci chiaro.
Nondimeno, della sua trattazione ritengo utile riferirvi che nella prima stesura dell’Origine, pur non essendovi citato van Gogh e il suo famoso quadro, la parola “scarpa” è tuttavia già presente qui come cosa e come esempio.
Dice difatti Heidegger nella prima stesura del 1931-32: 

L’erroneo di questa interpretazione dell’essere-opera discende dalla stessa fonte della caratterizzazione affrettata e unilaterale dell’opera in quanto cosa approntata. Secondo di essa, l’opera è innanzitutto, e ciò significa sempre “autenticamente”, una materia formata, al pari di una scarpa o di una scatola.
Per illustrare l’erronea affrettata e unilaterale idea di “opera d’arte” Heidegger prende ad esempio proprio una scarpa ed una scatola (si presume vuota, ossia del tutto simile all’orifizio oscuro delle scarpe di van Gogh). Tenete bene a mente questo fatto che promette qualche interessante risvolto come quel mio già detto sospetto di una trattenuta disistima da parte di Heidegger nei confronti del quadro (e/o della pittura) di van Gogh, o della pittura moderna in genere. Se fosse così, tanto più questa singola scarpa presente nella prima stesura del 1931 andrebbe tolta al filosofo o al contadino per restituita a van Gogh assieme alla scatola vuota... e così ristabilire il paio.

Saranno anche stati i ripetuti accenni dei curatori delle varie edizioni su “alcuni rimaneggiamenti” apportati da Heidegger nel 1950 ai testi delle conferenze del ’36 a favorire l’idea dell'inserimento di van Gogh nell’Origine solo in questo 1950; ma ci si è messo anche del proprio per decidersi di adottarla senz’altro…
O c’è qualcosa che non conosco ancora?
Ritenendo di non avere informazioni indubbie su questo specifico punto, devo cercare altre vie per stabilire se tali rimaneggiamenti fanno riferimento esclusivamente alle aggiunte del Preambolo e della Conclusione (con qualche altro aggiustamento nel corpo del testo), piuttosto che alla tardiva sostituzione del quadro di van Gogh alla scultura della Barbarina di Nicola da Leida (presente, al posto delle scarpe, nella prima stesura come esempio di un’opera delle arti figurative).
Perchè è anche possibile che io stia continuando a sbagliarmi
[6] e che in effetti il dipinto di van Gogh abbia sostituito la Barbarina solo nel 1950, e allora chiedo scusa... Ma...
Ma... se, come suggerisce Ardovino, sarebbero state delle valutazioni di opportunità (politica) del dopoguerra a suggerire la sostituzione della Barbarina con il dipinto delle scarpe, non sarebbe stato più opportuno per il filosofo tedesco sorvolare sui riferimenti al "popolo storico", al decidere "che cosa sia il signore e che cosa sia lo schiavo"?... O devo credere che le allusioni (storiche e politiche) della scultura di Nicola da Leida non erano più perspicue e opportune dopo le drammatiche vicende della guerra, mentre quelle relative a questi concetti mantenevano intatte opportunità e perspicuità (ideologiche) nel quadro del secondo dopoguerra?...

Per venire rapidamente a capo della faccenda mi tiro decisamente fuori da ogni ricostruzione filologica invitandovi a considerare con me, che, mentre con un semplice frego del lapis la testa della Barbarina può cader via senza alcuna conseguenza [7]... se provassimo invece a togliere le scarpe dipinte da van Gogh dalla stesura definitiva dell’Origine vedremo saltar via importanti passaggi e rendere zoppicante il discorrere di Heidegger sull’origine dell’opera d’arte.
D'
altronde non credo consigliabile per un filosofo, ma neppure per un uomo qualunque, addentrarsi nel fitto di un bosco con ai piedi una scultura di marmo; tutti sanno, anche se non sanno altro, che è preferibile calzare un paio di grossi scarponi.
Credo proprio che, a partire dalla scarpa+scatola della prima stesura per passare all’esplicita citazione del “famoso quadro” con il paio di scarpe nell’Introduzione alla metafisica del 1935 e alla loro ricorrente presenza nella versione definitiva dell’Origine del 1936, queste scarpe siano andate man mano non solo prendendo sempre più terreno nella riflessione di Heidegger sull’opera d’arte [8], ma esser-Ci state come un fantasma o un cruccio nella sua mente fin da quel giorno del 1930 ad Amsterdam.
E siano pure della contadina o di un carrettiere, di Goldstein o dello stesso Heidegger [9], dopo essersi consumante sui neri terreni del Borinage, lungo i boulevard parigini o i lastricati urbani della Francoforte del 1936, queste scarpe si dimostrano così ben piantate nel testo dell’Origine da chiedersi se la loro mancanza non avrebbe creato alla filosofia qualche difficoltà espositiva nel superare determinati passages.
Offerte e indossate da Heidegger fin dal preambolo dell’Origine per facilitare, con la loro “visione sensibile”, il cammino stesso del filosofo attraverso concetti difficilmente raggiungibili o illustrabili per mezzo d’una testa di pietra, d’un tempio greco o di una poesia [10], le scarpe dipinte da van Gogh marciano talmente bene nella rete dei sentieri interrotti e/o erranti del testo heiddegeriano così che l’intera raccolta degli Holzwege potrebbe starsene comodamente all’ombra della loro insegna.[11]
Con ciò non dico che tali sentieri siano da metter sotto i piedi (benché i sentieri stanno lì appunto per essere calpestati - e precisamente in questo risiede la loro fidabilità); piuttosto dobbiamo chiederci quanto sono debitori Heidegger nei confronti di van Gogh, la metafisica nei confronti di un paio di luride scarpe.
[1] - Carlo Bordoni, Le scarpe di Heidegger, ed. Solfanelli, Chieti 2005, pag. 26. Ritengo che l’A. abbia fatto riferimento soltanto  alla prima stesura dell’Origine del 1931-32, finora inedita in Italia e pubblicata solo nel 2004, in Dell’origine dell’opera d’arte e altri scritti, a cura di A. Ardovino, ed. Aesthetica Preprint, Palermo.
[2] - Ne ho contate almeno otto; cfr. Appendici, infra pag. 159.
[3] - Bordoni, Le scarpe di Heidegger, cit.
[4] - Note editoriali dell’A., dall’edizione Nuova Italia 1968: “La prima redazione costituisce il contenuto di una conferenza tenuta il 13 novembre 1935 per la Kunstwissenschaftliche Gesellschaft di Friburgo In Brisgovia e ripetuta nel gennaio 1936 a Zurigo, su invito degli studenti dell'Università. La presente redazione comprende tre conferenze tenute per il Freies Deutsches Hochstift di Francoforte sul Meno il 17 novembre, il 24 novembre e il 4 dicembre 1936. La conclusione è, in parte, posteriore. L'aggiunta ha visto la luce nella edizione separata del saggio pubblicata dall'editore Reclam nel 1961”.
[5] - Il 14 dicembre 2008, nel corso di una conferenza stampa congiunta a Baghdad con il premier iracheno Nouri al Maliki, il giornalista della tv al Baghdadia del Cairo lancia le sue scarpe contro il Presidente Bush, chiamandolo 'cane' e viene subito arrestato e processato.
[6] - Ma questo mio errare non è risultato infine inutile e senza frutto - almeno per me.
[7] - Suffragandone il carattere contingente e strumentale. Cfr. A. Ardovino: “…l’inopportunità del richiamo alla città di Strasburgo nel quadro del secondo dopoguerra…” (vedi qui sotto  Materiali). Il "tardivo" (inserimento di van Gogh) è in considerazione della prima stesura del 1931-32 e delle conferenze del 1935, o include anche la redazione del 1936 - della quale però, Heidegger stesso, in nota alla prima edizione del 1950, dichiara comprendere le tre conferenze di Francoforte del 1936? La faccenda non mi sembra tanto chiara; e la "congettura" di Ardovino, che sembra collocare questo inserimento nel secondo dopoguerra, non esclude che il quadro di van Gogh vi fosse già nel 1936; anzi, il "notevole ampliamento" che le conferenze del '35 hanno subìto per la redazione di quelle del '36 rendono plausibile l'inserimento (ampio) del dipinto di van Gogh - o il filosofo, nella sua nota, ha trascurato questo particolare, solo per me rilevante?
[8] - “(la prima stesura) pone innanzitutto un problema di datazione, dalla cui soluzione dipende non soltanto la collocazione cronologica e filologica del testo, ma anche l’accertamento di una questione di fondamentale interesse nell’ambito della prospettiva storiografica testè accennata e della più generale intelligenza storica della conferenza: in quali anni, cioè, e nel contesto di quale momento del pensiero heideggeriano, abbia preso avvio in modo definitivo e strutturato la meditazione sul tema dell’«origine dell’opera d’arte», il cui processo di elaborazione può dichiararsi a tutti gli effetti concluso con le tre conferenze francofortesi, ossia nel dicembre 1936”  [A. Ardovino, op. cit.].
[9] - Come titola Bordoni: "Le scarpe di Heidegger".
[10] - Concetti quali “mezzo”, “strumento”, “fidabilità” o “uso” si addicono con meno immediatezza a questo tipo di opere che a un paio di scarpe, sia pur dipinte.
[11] - Holzwege raccoglie diverse lezioni (sentieri?) di Heidegger, in questa successione: L’origine dell’opera d’arte; L’epoca dell’immagine del mondo; La sentenza di Nietzsche: “Dio è morto”; Il concetto hegeliano di esperienza; Perché i poeti?; Il detto di Anassimandro.



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PUNTI e IMPUNTURE del Demone prolisso

·  PUNTO 1 [Prima Stesura, 1931-32] - Della conferenza svolta nel ’35 sull’origine dell’opera d’arte esiste una prima stesura [1] risalente al periodo 1931-32, nella quale, tra le citazioni di diverse opere d’arte (tra cui la testa di pietra della Barbarina) effettivamente mancherebbe quella sul dipinto di van Gogh.
(Impuntura) Nondimeno in questa stesura se ne riscontra una traccia là dove le scarpe sono evocate come scatole: “L’erroneo di questa interpretazione dell’essere-opera discende dalla stessa fonte della caratterizzazione affrettata e unilaterale dell’opera in quanto cosa approntata. Secondo di essa, l’opera è innanzitutto, e ciò significa sempre “autenticamente”, una materia formata, al pari di una scarpa o di una scatola.” [2]
(Impuntura) La parola “scarpa” è qui già posta come cosa e come esempio per illustrare l’erronea idea di “opera (d’arte)” in quanto “cosa”; in tale primitivo (originario) contesto si richiamano e si avvicinano parole che avranno il loro sviluppo nelle conferenze francofortesi del ’36.[3]

· ANELLO [marzo1935] - In un passo del corso sulla Introduzione alla metafisica il filosofo cita un quadro in cui van Gogh aveva raffigurato delle scarpe;
(Impuntura) Heidegger cita il quadro che “non rappresenta nulla”, “nient’altro” che delle scarpe da contadino, completandone la descrizione con una scena campestre: “Ecco qua un quadro di van Gogh: nient’altro che un paio di grossi scarponi da contadino. L’immagine non rappresenta proprio niente. Eppure vi è qui qualcosa in cui vien fatto subito, spontaneamente, di ritrovarci, proprio come se noi stessi, in una tarda sera d’autunno, quando si consumano gli ultimi fuochi destinati ad arrostire le patate sotto le braci, tornassimo a casa, stanchi, con la zappa sulle spalle.”[4]
(Impuntura) Sarebbe forse questa scena “ciò che manca” e che motiva il “null’altro che un paio di grossi scarponi”? Sarebbe forse questa scena il “piede” metafisico (arto fantasma, amputato o solo presagito) che riempirebbe la scarpa come scatola vuota?).[5]

·  PUNTO 2 [Seconda Stesura, novembre-dicembre 1935] - La trascrizione della conferenza del 13 novembre 1935 [6] sarebbe una versione lievemente rielaborata della prima stesura.
(Impuntura) Non conoscendo l’edizione di questa seconda versione, azzardo supporre che le conferenze di Friburgo e di Zurigo del novembre 1935 abbiano mantenuto pressoché invariati i contenuti della prima versione;  ossia, per quanto mi interessa, la permanenza delle parole “scarpa” e “scatola”, senza alcuna menzione di van Gogh.

·  PUNTO 3 [Terza Stesura, dicembre 1936] - La terza stesura dell’Origine si basa sul testo delle 3 conferenze  tenute a Francoforte alla fine del 1936.[7]
(Impuntura) Questa versione rappresenta un “ampliamento notevole” delle precedenti conferenze e viene comunemente ritenuta a tutti gli effetti come conclusiva della meditazione di Heidegger sul tema dell’«origine dell’opera d’arte».[8]
(Impuntura) “Ampliamento” del testo come anche della “scarpa” - che attinge dall’Introduzione alla metafisica il quadro di van Gogh per transitare direttamente nell’Origine la “scarpa contadina”, portandosi dietro l’intero mondo rurale dei (vangoghiani) mangiatori di patate.
(Impuntura) E dove si leggerebbe questa definitiva redazione del 1936?... Precisamente a Francoforte nel 1950…[9] 

·  PUNTO 4 [1950: La terza stesura viene alla luce] - …Difatti, come informano le note editoriali poste in calce all’edizione degli Holzwege del 1950, il trattato tripartito su L’origine dell’opera d’arte, si basa, “salvo alcuni rimaneggiamenti”, sul testo delle tre conferenze di Francoforte, con l’aggiunta di un preambolo e una conclusione, appositamente redatte per la circostanza. 
(Impuntura) Quindi nel 1950 è stato pubblicato il testo integrale delle conferenze del 1936 - che in italiano troviamo nelle traduzioni di Chiodi del 1968, di De Gennaro e Zaccaria del 2000, o di Cicero del 2002.
(Impuntura) Possiamo tranquillamente ammettere che van Gogh è presente per la prima volta nel preambolo soltanto dal 1950 [10], laddove le scarpe (contadine) e van Gogh sono ricorrenti almeno altre otto volte nel corpo del testo definitivo dell’Origine, unanimemente concluso nel 1936.

[1] - Pubblicata nel 1989 in occasione del centenario della nascita di Heidegger, come informa Hermann Heidegger, questa prima stesura è stata rinvenuta in forma manoscritta in una custodia privata, insieme a tutte le altre conferenze sull’opera d’arte. La versione italiana è in Dell’origine dell’opera d’arte e altri scritti del 2004, cit. 
[2] - Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, in Dell’origine dell’opera d’arte e altri scritti, cit. p. 42. – Per “scarpa” e “scatola” vedi anche l’intero paragrafo [io penso a te…], qui a pag. 81.
[3] - “Cosa”, “mezzo” o “strumento”, e, naturalmente, “opera”.
[4] - Heidegger, Introduzione alla metafisica (semestre estivo 1935), ed. Mursia, Milano 1968, p.46. cit, p. 46. - Il brano è riportato anche da Derida in Restituzioni, cit. p. 354.
[5] - In questa comparazione delle scarpe con una vuota scatola si può cogliere una certa disistima nei confronti del quadro (e/o della pittura) di van Gogh?
[6] - Tenuta il 13 novembre 1935 alla Kunstwissenschaftliche Gesellschaft di Friburgo in Brisgovia, la conferenza fu ripetuta nel gennaio 1936 a Zurigo, su invito degli studenti dell’Università. Una trascrizione dattiloscritta della conferenza di Friburgo fu fatta pervenire da Heidegger a Jean Beaufret tramite Frédéric de Towarnicki ed è stata pubblicata in Francia nel 1987 da Emmanuel Martineau, in edizione bilingue numerata e fuori commercio.
[7] - Le tre conferenze menzionate come base del trattato furono tenute a Francoforte sul Meno il 17 novembre, il 24 novembre e il 4 dicembre 1936.
[8] - A. Ardovino, op. cit.,p.8.
[9] - Heidegger, Holzwege, ed. Klostermann GmbH Frankfurt am Main,  1950.
[20] - Per il semplice fatto che l’intero preambolo è del 1950.



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MATERIALI ulteriori con riferimento alle note di questo paragrafo

Nota 6  - “Bärbele”, è uno dei due frammenti superstiti dei busti che adornavano il portale della Cancelleria di Strasburgo (vittima di incendi nel 1686 e nel 1870), eseguiti tra il 1463 e il 1464 dal maggior scultore d’origine olandese della seconda metà del XV secolo, Nicola da Leida (Niclaus Gerhaerts van Leyden, Leida ca. 1430 – Vienna 1473), il quale esercitò una rilevante influenza nei territori di lingua tedesca e fu attivo principalmente tra il 1462 e il 1473 (in particolare a Treviri, Baden-Baden, Strasburgo, Costanza e Vienna), con realizzazioni sia in pietra che in legno. Nonostante il soggetto della commissione fosse di carattere religioso (ma l’indagine storiografica ha fornito nel tempo letture divergenti), nella coppia di busti raffiguranti probabilmente un profeta e una sibilla la popolazione strasburghese dovette riconoscere le fattezze di una coppia di illustri concittadini (il conte alchimista Giacomo di Lichtenberg, balivo della città, e la bella consorte Barbarina di Ottenheim, donde il soprannome della scultura, impostosi già verso la fine del XVI secolo insieme a una pittoresca aneddotica che culminava con l’imprigionamento della donna per motivi passionali). I tratti del volto, estremamente vividi e mobili proprio nel loro rimando alla declinazione delle passioni, esemplificano con grande incisività la transizione e la commistione tardo-gotica tra universo religioso e universo profano. A giudicare dalla ricezione novellistica del tema in Germania (cfr. ad esempio l’opera del romanziare nazionalsocialista di origini alsaziane O. Flake, Schön-Bärbel von Ottenheim, Rembrandt, Berlin 1937 e quella della poetessa e scrittrice H. Maierheuser, Bärbel von Ottenheim. Ein Roman vom Oberrhein, Steuben, Berlin 1939), nonché, soprattutto, dal rilievo assunto dall’artista e dalla sua opera nella storiografia artistica tedesca degli anni ’30, è lecito presumere che il riferimento heideggeriano, presente ancora nella versione della conferenza friburghese del ’35 (non di quelle francofortesi del '36! - NdR), risultasse relativamente familiare ai suoi uditori… Per quale motivo, unico tra tutti i riferimenti ad opere d’arte, nel testo definitivo delle conferenze Heidegger abbia lasciato cadere proprio questo, si lascia spiegare soltanto per via di congetture. A prescindere dall’eventualità di una minore perspicuità del rimando rispetto alle altre esemplificazioni (da Sofocle a Hölderlin, da Egina e Paestum a Bamberga, cui si aggiungeranno, nella versione definitiva, un dipinto di Van Gogh e una breve poesia di Meyer), tra le supposizioni più verosimili potrebbe figurare l’inopportunità del richiamo alla città di Strasburgo nel quadro del secondo dopoguerra (in contrapposizione, invece, alla sua valenza politica, plausibilmente messa in conto da Heidegger nel clima delle rivendicazioni annessionistiche degli anni ’30), per via cioè della sua drammatica vicenda storica. Restituita dalla Germania alla Francia nel 1918 con il trattato di Versailles, Strasburgo fu rioccupata nel 1940 al termine di numerose tensioni e andò infine soggetta ai devastanti bombardamenti americani in occasione della liberazione del 1944. – Villa Liebig (1896) di Francoforte sul Meno fu trasformata in museo comunale tra il 1907 e il 1909. Da allora l’attuale Liebighaus/Museum alter Plastik ospita una delle più importanti collezioni di sculture a livello internazionale, che si estende dall’antichità egizia e greco-romana fino al periodo barocco e neoclassico.” [Da una nota di Adriano Ardovino, curatore di Martin Heidegger, Dell’origine dell’opera d’arte e altri scritti, cit.]
In alto: Nicolaus Gerhaerts van Leyden (Leida ca. 1430–Vienna 1473), la Barbarina (1463-1464).
VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES